lunedì 8 maggio 2017

Imprinting informatico

Questo articolo nasce da uno scambio di mail col professor Antonino Saggio a seguito della lezione del corso ITCAAD 2017: "Costruzione Vettoriale del mondo"


"Caro Professore,
durante queste ultime lezioni del corso mi è tornato in mente un ricordo di quando ero bambino e le ore di informatica erano tra le mie preferite alle scuole elementari. 
La dotazione dell'istituto erano dei vecchi commodore 64 (parliamo del 1993-1994 circa) ma a noi alunni sembravano la cosa più divertente del mondo.

Commodore 64

La spiegazione di quel grande entusiasmo e trepidante attesa dell'arrivo del maestro è presto detto: all'epoca, infatti, quasi nessuno di noi scolari possedeva un personal computer a casa e solo alcuni "fortunati" potevano già divertirsi a navigare con quello del padre o di qualche fratello maggiore. L'unica cosa simile ad un personal computer a cui potevo avvicinarmi fuori dall'orario scolastico, era un vecchio AMIGA di uno zio più grande, già talmente vecchio da poter essere usato con i suoi videogiochi, contenuti in floppy disk da 3.5 mb.

A scuola, invece, il maestro ci faceva divertire e lavorare con il linguaggio LOGO che ereditava le tecniche di calcolo simbolico del Lisp ed era un linguaggio di programmazione grafica fortemente orientato alla grafica e alla geometria di base.
L'elemento rappresentativo di tale ambiente è la classica tartaruga: uno sprite a forma di triangolo, che si muove nello schermo secondo i comandi che gli vengono impartiti. Nel muoversi, essa lascia una traccia che andrà a costituire il disegno dell’utente.
La tartaruga è richiamabile a schermo tramite il comando mostarta ("mostarda" nel nostro linguaggio tecnico di bambini) e tramite i comandi sulapenna o giùlapenna è possibile ordinarle di prepararsi a scrivere sullo schermo oppure no. Il comando tana consente invece di riportarla al centro dello schermo e questo è molto importante da fare ogni volta si conclude un lavoro perché, come ci veniva detto, "il bravo studente fa tornare sempre la tartaruga nella sua tana!"

Lo schermo nel quale essa si muove è diviso in due modalità grafiche: in alto, la modalità bit-map alta risoluzione; in basso, la modalità testo alta risoluzione. La nostra tartaruga, come intuibile dall'immagine sottostante, è quello sprite bianco triangolare posto al centro dello schermo.

La tartaruga

Nell’ambiente LOGO, per disegnare occorre comunicare alla tartaruga il proprio angolo di inclinazione rispetto alla sua posizione corrente (angolo di rotazione relativo) e di quanti passi deve spostarsi. La geometria della tartaruga si differenzia, quindi, dal modo tradizionale di disegnare al computer perché descrive i percorsi "dall'interno" piuttosto che "dall'esterno" o "dall'alto". Ad esempio dicendo "gira a destra" non si esprime una direzione assoluta, ma una direzione relativa all'orientamento corrente della tartaruga, dicendo "vai avanti di 10 passi" ci si riferisce alla posizione e alla direzione correnti. A livello didattico questo è molto importante perché è vicino all'esperienza umana di movimento dello spazio, dove è il corpo il nostro sistema relativo di riferimento.

Così, volendo orientare la tartaruga di 90° a destra (rotazione in senso orario), utilizzeremo il seguente comando:

DESTRA 90

A questo punto, se vogliamo fare avanzare la tartaruga di 60 passi dobbiamo usare il comando AVANTI, come segue: AVANTI 60



Una volta incamerate queste nozioni di base costruire una qualsiasi forma geometrica è facilissimo. Dopo aver realizzato questo primo segmento di 60 pixel è possibile disegnare un quadrato con pochi altri comandi:

DESTRA 90

AVANTI 60

DESTRA 90

AVANTI 60

DESTRA 90

AVANTI 60

Sullo schermo vedremo costruirsi passo dopo passo il nostro quadrato di lato 60 e, una volta appreso questo, potrei muoverci verso forme e formule sempre più complesse. Possiamo, ad esempio, inserire delle serie (tramite il comando ripeti) per velocizzare determinate operazioni come la creazione di moduli (una riga di comando tipo è questa: giù ripeti 4 [avanti 40 giradestra avanti 40 girasinistra])


Questa peculiarità fa si che la dicitura "programma", nel LOGO, è da ritenersi impropria. Il linguaggio vede ciascun programma come una nuova istruzione, che si aggiunge a quelle preesistenti (dette "primitive"); così, si è soliti affermare che un programma scritto dall’utente costituisce una nuova primitiva, e cioè una procedura. Questa sarà richiamabile in ogni momento dall’utente, specificandone il nome e di seguito l’eventuale argomento. Quindi anche la tartaruga impara, come noi ha una "aula" dove studia (la pagina delle procedure), ed è una brava tartaruga perchè non dimentica ciò che impara!

Da ciò emerge come il linguaggio possa essere ampliato con una facilità eclatante. E’ da osservare, infatti, come la procedura QUADRATO sia una nuova istruzione a tutti gli effetti e possa essere usata anche all’interno di un qualsiasi altro "programma".


Esempio di varianti ottenute dalla forma "quadrato"


Il LOGO ci consente, una volta diventati "esperti", di lanciarci anche nella creazione di forme curve con enorme facilità. Per far questo bisogna padroneggiare la geometria di base, capendo cosa sia un "angolo", e imparare come si possa scrivere una procedura che ci consenta di disegnare facilmente dei poligoni regolari in modo di approssimare nel miglior modo possibile una linea curva. Tutti questi step dimostrano le potenzialità didattiche del LOGO e perché, nei programmi scolastici della mia generazione, veniva fortemente usato per fornire una prima alfabetizzazione informatica ai più piccoli che lo utilizzavano di pari passo alle prime nozioni di algebra e geometria.

Partiamo quindi da un pentagono. La linea di comando per disegnare un pentagono è: ripeti 5 [ avanti 100 destra 360 / 5 ] che, tradotto, vuol dire: disegna 5 segmenti di lunghezza 100 px e, ogni volta, ruota a destra di 72° (i gradi si esprimono in numeri). Una volta dato il comando ENTER se non si è commesso nessun errore la figura che uscirà fuori sarà quella sottostante.

Pentagono LOGO



Prima o poi gli alunni, sperimentando a creare figure con sempre più complesse, capiranno che aumentando il numero dei lati (diminuendone la lunghezza, pena il non veder la propria figura pochi troppo grande per lo schermo bitmap) realizzeranno un cerchio, la cui formula è: ripeti 360 [ avanti 2  destra 360 / 360 ], e sarà loro chiaro come il cerchio non sia altro che quella figura che la tartaruga disegna quando avanza cambiando continuamente direzione (e cioè la definizione geometrica di una linea curva).

Il cerchio

Queste brevi nozioni servivano, oltre che per spiegare a tutti cosa sia il linguaggio logo, a prendervi per mano e trascinarvi nel mio mondo d'infanzia.
La scorsa lezione del corso mi ha riportato proprio indietro a quegli anni. Non so perché sia successo proprio ora (non è la prima volta, infatti, che partecipo al corso ITCAAD; l'ho fatto da studente e più volte come assistente) ma è stato un cortocircuito improvviso che ha riacceso in me un ricordo, un IMPRINTING informatico, sopito ma mai scomparso, che mi ha riportato ad un "luogo della memoria" (stavolta digitale). 
È curioso come ciò sia successo a distanza di tutti questi anni e mi domando in chissà quale modo questo imprinting abbia strutturato tanti miei percorsi cognitivi (e formativi) e mi abbia portato fin qui. Forse a oggi il come non è importante, ciò che conta è, più o meno coscientemente, essermi lasciato guidare da questo in modo imprevedibile."

P.S. Allego inoltre la tabella dei comandi base del LOGO. Come già detto essendo un linguaggio di programma se ne possono creare molti altri e gestire le proprie liste di comandi.

Comandi base



lunedì 10 aprile 2017

TUTORIAL: Curve di livello in Sketchup

L'obiettivo di questo tutorial è mostrare come sia possibile ricavare delle curve di livello per un determinato territorio utilizzando il software Trimble Sketchup.
Per chi non lo avesse installato sul suo pc (o non sia a conoscenza della sua esistenza) è possibile scaricare una versione di prova al seguente indirizzo >>
Si tratta di un software molto diffuso nell'ambito della modellazione e visualizzazione architettonica grazie alla sua semplicità d'utilizzo e al grande numero di plug-in ad oggi disponibili.
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La prima cosa da fare, una volta avviato il programma, è impostare l'unità di misura del disegno in metri: dal menù in alto selezionare finestra > preferenze > template > modello semplice: metri



Fatto questo abbiamo bisogno di attivare la barra comandi necessaria per la nostra operazione. Clicchiamo con il tasto destro in un punto vuoto della barra superiore dove sono ancorate tutte le toolbar e attiviamo quella chiamata "posizione".


Tutto quello che ci serve per svolgere il nostro lavoro è ora al suo posto e il prossimo step è quello di importare la porzione di territorio che ci interessa.
Click sinistro del mouse su "aggiungi posizione" e, nella finestra che apparirà, inseriamo l'indirizzo della nostra area di progetto. Una volta che saremo precisamente nel punto che vogliamo studiare attiviamo l'opzione "seleziona regione" e isoliamo la porzione di territorio da importare in Sketchup.


Nella viewport è comparsa l'area che abbiamo precedentemente delimitato e i più attenti noteranno che si tratta un piano senza nessuna variazione altimetrica. Nessuna paura! Sempre nel pannello posizione attivate la seconda icona "attiva/disattiva terreno" e avrete un terreno non più piatto ma con le giuste variazioni di altezza.

Terreno piatto

Terreno dopo "attiva/disattiva terreno"


Quello che dobbiamo fare ora è creare una serie di piani con cui poter "affettare" il nostro modello di terreno.
Posizioniamoci quindi in top view e creiamo un rettangolo che sia parallelo al piano xy. Fate bene attenzione che il piano non intercetti in nessun punto il modello ma sia di poco sotto, questo è importante per avere delle sezioni progressive corrette e non sporcate da qualche intersezione di troppo.




Creare una serie di piani è semplice. Con il tasto sposta attivato selezioniamo il piano da ripetere tenendo premuto CTRL: questo ci consentirà di generare una copia in modo rapido e automatico. Digitiamo quindi la misura di traslazione verticale del piano (nel nostro caso 1 unità, in modo da avere sezioni progressive di un metro) e facciamo click su INVIO. 
Ora senza cliccare nessun pulsante digitate * seguito dal numero di ripetizioni che volete fare del piano appena creato. 
Se ad esempio vogliamo il piano altre 20 volte digitiamo *20. Il numero è a vostra discrezione, l'importante è che il modello che dobbiamo tagliare sia completamente "coperto" come nella foto qui sotto.


Ripetizione *20 del piano copia creato
Fatto questo non ci resta che tagliare il terreno. Selezioniamo tutti i piani e generiamo un gruppo (tasto destro > crea gruppo); una volta fatto questo prendiamo tutto quello che abbiamo nella viewport (piani e terreno) e tasto destro > interseca facce > con il modello, cancelliamo tutti i piani e le nostre curve di livello sono pronte.

Giunti a questo punto avete le curve  ma non avete indicazione di quote sulle quali calcolare le variazioni. Identificare una quota base è semplice: aprite Google Earth Pro (da qualche tempo completamente gratuito) e dalla toolbar selezionate l'opzione aggiungi percorso. Una volta disegnato il vostro percorsi attivate semplicemente l'opzione modifica > mostra profilo elevazione ed ecco pronta per voi un profilo altimetrico del lotto da cui poter prendere un riferimento per poter calcolare le vostre variazioni.



Ovviamente le vostre curve ora sono a differenti quote nello spazio, per averle pronte da esportare un dwg basta che creiate un piano su cui proiettarle e tramite il comando strumenti > sabbiera > proietta spalmarle sul piano appena creato. 
NB prima di utilizzare il comando proietta create un altro layer e selezionatelo come layer attivo in modo da poter poi isolare facilmente le curve proiettate

Curve proiettate
Ora non vi resta che cancellare quello che non vi serve ed esportare in formato .dwg le vostre curve di livello tramite esporta > immagine 2d > dwg

Questo è un modo rapido e abbastanza preciso per capire come sia l'andamento del vostro terreno. Ricordate però che Google può avere dei margini di imprecisione dovuti, ad esempio, ad eventuali oggetti tra loro molto vicini e voluminosi (container e/o potature di alberi, etc...) quindi in caso di dubbi tornare sul posto e verificare dal vivo ciò che si è simulato è sempre una buona soluzione.

Un saluto e buon lavoro

sabato 4 marzo 2017

Tra Grammatica del gioco e Sceneggiatura delle scelte concrete

Un Dottorato di Ricerca è composto da due differenti anime: una corale, che riguarda le posizioni condivise dalle individualità che si occupano della sua organizzazione e partecipazione al dibattito culturale contemporaneo; e una soggettiva, personale e identitaria, formata dalle singolarità dei contributi che in esso si sviluppano e ne articolano il pensiero.
Riguardo questo secondo punto particolare interesse è rivestito dall’insieme delle dissertazioni che concludono il percorso dei singoli dottorandi e che riescono a dare uno spaccato, anche molto preciso, di dove si sia deciso di spingere la ricerca architettonica nei trienni che hanno accompagnato la stesura di questi elaborati.
Capire le motivazioni che hanno portato alla scelta di questo o quell’argomento di dissertazione è un processo molto complesso ma interessante, che deve tener conto non solamente di motivazioni “esogene” (il tempo, la storia, la “tendenza” dell’architettura contemporanea all’autore) ma, e soprattutto, “endogene”, provenienti dalla individualità del candidato, dal suo imprinting e da come i suoi interessi, in quel preciso momento storico, siano confluiti nel prodotto finale. Proprio l’inquadramento temporale di un lavoro di tesi dottorale consente di non cadere nell’errore di ritenere quest’ultima apice di una carriera di ricerca, ma come uno dei tanti tasselli che compongo un percorso, a volte frammentario, dai risvolti imprevisti e che, spesso, si rivela muoversi verso posizioni differenti da quelle originarie. Il Dottorato va quindi visto, nonostante le contraddizioni di un sistema come quello italiano, quale trampolino di lancio verso obiettivi futuri e non, come purtroppo avviene, percorso destinato all’autoconclusione.
Utilizzando questa differente lente, si riesce a cogliere più nitidamente, l’importanza di ogni singola tesi in un mosaico generale e sviluppare una curiosità verso l’autore, non più semplice nome su una copertina ma parte di un fluire storico di eventi e dinamiche.

Le dissertazioni da me scelte per questa analisi hanno seguito, quindi,  due differenti istanze: da una parte, la necessità di trovare un filo rosso che le legasse ai miei interessi di ricerca e, dall’altra,  la curiosità (specialmente in uno dei due casi) verso la personalità di un autore, prematuramente scomparso, ma che sembra aver lasciato un segno forte in coloro che lo hanno conosciuto, in egual modo colleghi e studenti. Nello specifico i lavori da me selezionati sono:

·   Garofalo Francesco, (1990) L’abaco semplificato delle regole e il confronto con la realtà dell’architettura. Gli scritti e i progetti teorici di Adalberto Libera. (II Ciclo: 1986-1989).
Tesi appartenente alla categoria: Metodi e strategie compositive
·     Rodorigo Paolo, (2009) I media di nuova generazione nel formarsi del progetto architettonico. Cittadinanze attivate dai media digitali. (XXII Ciclo: 2006-2009) Tutor: Professor Antonino Saggio
Tesi appartenente alla categoria: Nuova pratiche generative dal basso


Garofalo Francesco, (1990) L’abaco semplificato delle regole e il confronto con la realtà dell’architettura. Gli scritti e i progetti teorici di Adalberto Libera.

Professore Ordinario di Composizione Architettonica e Urbana a Chieti e coordinatore del Dottorato di Ricerca in Architettura presso lo stesso ateneo, Francesco Garofalo è stato negli anni una figura di riferimento nel panorama architettonico italiano. Un architetto trasversale, completo, egualmente diviso tra l’attività teorica e la riflessione sulla materia architettonica; di lui Pippo Ciorra dice: “si è sempre battuto con tutte le sue forze contro l’isolamento e l’arretratezza di certi aspetti del nostro mondo architettonico, allargando il più possibile i suoi interessi alla scena internazionale, soprattutto inglese, nordamericana, svizzera, giapponese, ma stando bene attento a non fare di questo essere “nel mondo” una manifestazione di provincialismo e disprezzo nei confronti del proprio paese1.
Non stupisce, quindi, che la sua scomparsa, nell’Agosto 2016, abbia generato un grande dolore tra i suoi colleghi, che lo ricordano come architetto “responsabile”, attento alla valenza sociale e politica dell’opera di architettura, e tra i suoi studenti, che lo dipingono come docente rigoroso ma umano, propositivo verso la trasmissione del sapere e, soprattutto, del “saper fare architettura”.

I suoi primi passi nel mondo accademico Francesco Garofalo li aveva mossi proprio nella nostra Università, conseguendo il titolo di dottore di ricerca con una dissertazione sulla figura e le strategie compositive nell’opera di Adalberto Libera.
E’ singolare, scorrendo i titoli delle tesi finali di quegli anni, notare come ci fosse un marcato interesse verso la “grammatica del progetto di architettura”; ci si interrogava sui concetti di “residenza”, di “facciate” e “tecniche d’invenzione”; si prestava una forte attenzione non solo sul prodotto finale della pratica architettonica, ma sui suoi processi, sulla costruzione di una propria sintassi e soprattutto sulla trasmissibilità delle metodologie. Ecco quindi che il Libera che ci presenta Garofalo è il Libera architetto affrancato da chiavi di lettura prettamente storiografiche o ideologiche; ciò che ne viene messo in luce sono la formazione giovanile e la maturazione del suo progettare; il rapporto con i suoi giovani assistenti nel ruolo di docente in varie università italiane e le insanabili fratture tra una sua personale, e rigorosa, visione critica e un mondo in rapida evoluzione.

La dissertazione si articola in cinque parti comprensive di una appendice:

1.      La costruzione del linguaggio; 1925-1928
2.      Dalla forma alla riforma; le ricerche sull’abitare
3.      La trasmissione del metodo
4.      Verso una “urbanistica esatta”; l’idea di città di A. Libera
5.      Appendice: antologia degli scritti di Libera

La mia analisi si soffermerà in particolare su due di queste cinque parti (la numero 1 e la 5) che ritengo fondamentali nella lettura critica di Garofalo e vicine ai temi di ricerca da me affrontanti nel mio iter dottorale.
La prima è una raccolta e studio di documenti, in particolare disegni d’archivio e scritti, con lo scopo di mettere a nudo gli aspetti più specifici della composizione architettonica. L’autore, in essi, rivede come in un laboratorio, la formazione di uno specifico linguaggio architettonico di colui che viene definito un architetto “moderno ma dal cuore antico”.
Libera è, infatti, una presenza singolare nel dibattito architettonico di quegli anni: non parte, come i modernisti nordici, da una tabula rasa degli elementi precedenti, da un ipotetico anno zero dell’architettura, ma si confronta con la contraddizione di essere una personalità fortemente legata alla propria scuola di appartenenza e, allo stesso tempo, proiettata verso l’adesione autonoma e autodidatta a nuovi linguaggi. Garofalo mette in luce come il percorso formativo di Libera sia sempre stato in bilico tra queste due anime; ipotesi confermata dal corpus di disegni dove una selezione di architetture del passato è via via affinata, compresa nella sua natura più intima e trasportata nella contemporaneità attraverso dei loro caratteri ritenuti fondamentali, sottraendo inoltre, i nuovi materiali da costruzione da un uso “puramente strumentale”  verso uno filtrato attraverso una sensibilità classica atta a donar loro nuovi valori. Non ci stupiamo quindi che, a schizzi raffiguranti tipologie classiche, se ne trovino affiancati altri che identificano nuove “tipologie” moderne come il cinema, l’albergo ed i monumenti ai caduti.
A conferma di questa costruzione del linguaggio lo stesso tema del telaio, icona della ricerca comasco-milanese, è da Libera affrontato con una sensibilità personale. Il telaio viene, infatti, liberato da una progressiva astrazione “priva di peso” e legato fortemente ad una espressione del comportamento strutturale di tipo classico dove a dominare è il senso della gerarchia e della rastremazione in funzione di una distribuzione dei carichi verso l’alto.

Immagine1

Immagine 2

 Un altro passaggio fondamentale è la “trasmissione del metodo” di Adalberto Libera. L’autore riesce ad affrontare criticamente sia la metodologia d’insegnamento che la crisi che in età avanzata l’architetto e docente si trova costretto ad affrontare rispetto ad un mondo in costante accellerazione. La forza di questa parte è nell’oggettività tramite cui questa analisi viene affrontata, non solamente attraverso testimonianze grafiche di studenti di quegli anni, ma anche, e soprattutto, grazie alle fonti dirette degli assistenti di Libera a Roma (Manfredo Tafuri, Carlo Aymonino, Vieri Quilici).
 Le informazioni dirette di questi ultimi servono a Garofalo per veicolarci due messaggi fondamentali, uno più diretto e uno più velato: il primo è che nel dialogo tra una nuova generazione e quella precedente sia fondamentale un conflitto creativo, una contrapposizione critica che dia nuova linfa ad un dibattito come quello architettonico sempre bisognoso di nuove proposizione d’invenzione; in secondo luogo la consapevolezza che un metodo non può essere visto come percorso concluso e autoreferenziale ma anzi, per dimostrare la sua validità deve avere la forza di rigenerarsi completamente di fronte alle nuove istanze della modernità.

Rodorigo Paolo, (2009) I media di nuova generazione nel formarsi del progetto architettonico. Cittadinanze attivate dai media digitali.

Il lavoro di Paolo Rodorigo si inserisce in un momento storico-critico completamente differente, rispetto a Garofalo, nell’ambito del nostro dottorato di ricerca: non solo per la evidente distanza cronologica tra la sua opera e quella di Garofalo, ma soprattutto per la sua aderenza al dibattito architettonico che si è ormai spostato in ben’altra direzione rispetto a quella di una generazione precedente.
L’opera di architettura non è più vista come presenza autoreferenziale nella città. Il fallimento del Movimento Moderno e la disgregazione del mondo post-bellico hanno generato la consapevolezza del bisogno di un nuovo tipo architettura che sia in primo luogo espressione non di dinamiche funzionali ma di dinamiche informative; vi è il bisogno di un ritorno ad un momento comunicativo dell’architettura, affinchè essa possa diventare medium di un nuovo tipo di società. Secondo Rodorigo ciò è possibile grazie all’utilizzo delle nuove potenzialità offerte dall’informatica che possono innescare un doppio tipo di cortocircuito: da una parte trasformare l’architettura in un nuovo mezzo di comunicazione di massa (facendone affiorare le valenze culturali ed antropologiche tali da permetterne il confronto con altre espressioni culturali contemporanee); dall’altro, grazie a questa trasformazione, garantire una maggior partecipazione del cittadino al progetto, in una visione che vuole trasmettere l’importanza di ogni singola individualità all’allargamento della sfera pubblica, valutando forme di espressione democratiche alternative o complementari.
La dissertazione si articola in quattro capitoli corredati da un nota metodologica iniziale:

1.      Capitolo 1. Progetto e Partecipazione politica nell’era mediale
2.      Capitolo 2. I rapporti tra architettura e media
3.      Capitolo 3. Nuovi media e architettura condivisa: basi teoriche e analisi di esperienze esistenti
4.      Capitolo 4. Media interattivi e processi 2.0 nell’Informazione del progetto: l’esperienza UrbanVoids 4D Lab

Il filo conduttore che lega i vari capitoli è la certezza che, grazie all’uso delle nuove tecnologie, l’architettura oggi può essere catalizzatore di nuove pratiche dal basso (bottom-up) destinate a cambiare il volto della città contemporanea.  Processi che spingano l’idea di partecipazione, nata a cavallo degli anni Settanta, verso nuovi orizzonti di trasversalità e inclusività.
La volontà è quella di poter ricucire lo strappo identificato tra progetto-città-cittadino-rappresentante e, per poter far ciò, non è possibile ricomporre il puzzle esclusivamente all’interno del progetto solipsista dell’architetto ma considerare centrale nel fare architettura la presenza di coinvolgimenti extra disciplinari (politici, sociologici e antropologici).
Le pratiche partecipative nate del web di seconda generazione (Web 2.0) consentono una bidirezionalità del processo creativo/comunicativo, non delegando la comunità sociale alla tacita accettazione di regole imposte dall’alto ma sviluppando una concertazione che non preveda ovviamente risvolti puramente formali, pena la delegittimazione della figura dell’architetto, ma una maggiore consapevolezza critica delle scelte condivise per il progetto, ipotizzando future trasformazioni dell’intervento compatibili con la volontà degli attori che ne usufruiranno (ne sono un esempio associazioni come “criticalmap” e “friends of the highline” che grazie a queste protesi digitali hanno vinto importanti battaglie altrimenti insostenibili).
Interessanti in questa chiave sono gli apparati progettuali che Paolo Rodorigo costruisce e che vivono di una loro parziale autonomia rispetto alla narrazione principale; come nella più proficua pratica web, infatti, questa opera è da considerarsi un hypertesto, dove è la logica del “salto” a guidare il movimento del lettore; quest’ultimo può seguire il percorso che gli è proposto dall’autore è svilupparne uno suo, letteralmente “saltando” da un contenuto all’altro. Mi riferisco all’Allegato A che analizza l’opera di Samuel Mockbee e di Rural Studio e l’Allegato B che analizza le sperimentazioni all’interno del laboratorio di progettazione IV D del professor Antonino Saggio a “Sapienza, Università di Roma”.
Ad una prima riflessione il lettore disattento potrà pensare che è impossibile mettere a confronto due esperienze così tra loro differenti. In realtà vi sono più punti in comune di quelli che si possono immaginare; è vero che a cambiare sono la dimensione sociale, fisico e storico delle aree preposte all’intervento ma condivisibili sono le strategie alla base che muovono queste operazioni. Tramite un rapporto diretto con la cittadinanza coinvolta vi è una negoziazione delle aree progettuali, un confronto sulle necessità della collettività e le aspirazioni dell’architetto nel proprio intervento; vi è una comunanza d’intenti che è possibile solo grazie alla reciproca comunicazione e alla possibilità dell’architettura di farsi medium di queste nuove sostanze.
Certo, Roma e il Mississippi, appartengono a due geografie tra loro completamente differenti, ma il risultato è lo stesso: disegnare nuovi frammenti di città dove sia la vita a permearne la spazialità e non la logica del profitto o dell’autocelebrazione.

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 Tra Grammatica del Gioco e Sceneggiatura delle scelte concrete

L’analisi di due tesi così differenti tra loro, sia per categoria di appartenenza, sia per la distanza cronologica che inevitabilmente le divide, ha dimostrato come la struttura del corpus teorico e operativo che compone la storia di un dottorato di ricerca è al suo interno ricco e composto da molteplici differenze.
Sarebbe però una visione incompleta quella di omettere la contestualizzazione, nel loro momento storico di appartenenza, di questi lavori, dato che, una buona parte dei motivi strutturanti la loro composizione deriva dall’analisi delle istanze storiche proprie di quel tempo. Se per Francesco Garofalo e la neonata scuola dottorale di Roma era imprescindibile confrontarsi con la didattica e il suo metodo di trasmissione, nell’ottica di un ciclo formativo che potesse formare la classe docente del futuro, per Paolo Rodorigo, appartenente ad un ciclo quasi a cavallo tra il secolo vecchio e il nuovo, era impossibile evitare  una dialettica con le commistioni tra Informatica e Architettura che dominavano (e in parte ancora oggi caratterizzano) il dibattito architettonico di quasi dieci anni fa. Naturalmente non tutte le tesi dei vari cicli dimostrano una tale sensibilità e volontà di immettersi in un dibattito attuale e stratificato, e anzi, molte volte viene preferito il ricorso a tematiche già esplorate e rassicuranti che seppur soddisfacenti in termini di ricerca e metodologia dimenticano l’ineludibile, a detta di chi scrive, necessità di interfacciarsi con le sollecitazioni storiche e ambientali in cui si lavora e si fa ricerca.
Oggi, chi si documenta sulle discussioni all’interno della dimensione italiana, non può esimersi dal constatare che vi è un nuovo interesse verso i temi del progetto operativo ed in particolare della sua didattica. La scuola italiana sente la necessità di fare in modo che alla “teoria” corrisponda una solida fase di “progetto”, che il lavoro critico all’interno dei dottorati di ricerca non sia solo lo specchio di una solida attitudine alla ricerca, ma di un “saper ricercare per poter fare” per ricomporre la scissione che oggi sembra essere sempre più netta tra chi insegna e chi costruisce. In questa chiave ho letto con grande interesse l’opera di Francesco Garofalo, architetto sapiente e solido teorico, che attraverso i propri studi dottorali è riuscito ad elaborare una propria metolodogia di intervento operativo ma soprattutto intensamente trasmissibile, come hanno confermato i ricordi dei suoi studenti che lo rammentano quale eccellente architetto ma soprattutto come straordinario docente.
Negli ultimi due anni sono stato spinto ad interrogarmi su cosa possa essere una “sceneggiatura delle scelte concrete in architettura” (la dizione è per la prima volta usata da Benevolo ma sviluppata da noi in un altro contesto) e su come la mia dissertazione finale su “L’attività ludica come strategia progettuale” possa trasferirsi completamente in una “grammatica del gioco” per il progetto di architettura.
Mi convinco sempre più che la finalità di un dottorato debba essere quella di portare il candidato allo sviluppo di una propria metodologia progettuale e di una sintassi trasmissibile e aperta alla modifica, grazie alla verifica sul campo, liberandosi di un’autoreferenzialità dogmatica che ne acceca i presupposti di ricerca.

 Viviamo in un momento storico in cui, come progettisti, siamo costretti a fare i conti con la nostra storia e gettare un nuovo sguardo critico che ci permetta di proiettarci verso il futuro; rinunciare a questo significa dover accettare implicitamente che siano gli storici ad occuparsi di progettazione e i tecnologi a guidare la fase sintetica del progetto, generando un illogico cortocircuito tra categorie proprie della disciplina e proprie di chi la affronta. Barnham alla metà degli anni Cinquanta attaccava la scuola milanese, e in particolare i BBPR, accusandoli di una loro “ritirata dal moderno”; e se noi progettisti ci stessimo invece “ritirando dalla Modernità”?

NOTE
1.  Ciorra Pippo, (2016) Pippo Ciorra ricorda Francesco Garofalo in ArtTribune. Disponibile all’indirizzo: http://www.artribune.com/progettazione/architettura/2016/08/francesco-garofalo-architettura-ricordo-pippo-ciorra/. Ultima verifica: 04 Marzo 2017
2. Ci si riferisce alla polemica nata alla metà degli anni Cinquanta a seguito della pubblicazione sulla rivista “Casabella-Continuità”, dell’opera Bottega d’Erasmo (1953-1956) ad opera di Roberto Gabetti e Aimaro Isola. A Reyer Banham rispose Ernesto Nathan Rodgers nell’editoriale “L’evoluzione dell’architettura. Risposta al custode dei frigidaires”.

INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI
1. Studi sul telaio di Adalberto Libera. Fonte: Archivio Libera
2. Indagine dell'obelisco come oggetto singolo e sua scomposizione in struttura spaziale anche grazie anche al cemento armato come materialeFonte: Archivio Libera
3. Rural Studio – Goat House 1997. Fonte: Ruralstudio.org
4. Mappa del progetto “UrbanVoids: microprogetti sostenibili Lab IV”. Fonte: arc1.uniroma1.it/saggio

lunedì 16 gennaio 2017

Modernitopoly: giocare tra crisi e modernità

"I giochi consentono alla mente di aprirsi verso molte possibili configurazioni, verso nuovi spazi e nuovi comportamenti che potrebbero attivare naturalmente il pensiero architettonico. [...] C'è una necessità storica di ripensare ai giochi. Naturalmente ci sono aspetti ambientali, sociali e anche costruttivi, in cui il pensiero ludico può essere rilevante, ma penso sia oltremodo fondamentale quello estetico. (E per estetica, naturalmente, non intendo lo stile, ma una forma di conoscenza denotativa e sintetica)" [1]

Da questa citazione, che si lega a molte temi di ricerca a me cari, sono partito per l'elaborazione di questa board grafica. Ho voluto rileggere l'intero percorso tracciato all'interno del libro "Architettura e modernità" come un gioco fatto di caselle, di pedine, scelte tra una selezione di opere per me importanti disseminate lungo la storia dell'architettura, e di salti da una posizione all'altra.
In questa chiave ho interpretato la struttura del libro come un campo da gioco dove sono concessi molteplici gradi di libertà, sempre però compatibili con le regole stabilite. Così come un gioco non può configurarsi senza delle regole ben definite, un libro non può esistere senza una valida struttura che lo sorregga. Se queste componenti vengono meno, infatti, non può esistere nè l'attività ludica, nè una proposizione creativa verso la ricerca; se sono presenti, al contrario, da esse si generano la magia del gioco e la libertà creativa del pensiero, e nascono libri in grado di permettere ad ognuno di noi di scrivere la propria personale storia.



Close-up








Note
[1] Saggio A., (2008) Perchè la rappresentazione del gioco è importante per l'Architettura?, in Abitare virtuale significa rappresentare, a cura di Unali M., Roma: Edizioni Kappa, 203-205.

mercoledì 11 gennaio 2017

L'isola del tesoro (mappa per un orientamento nel sistema bibliotecario universitario)

La biblioteca è una delle risorse fondamentali per un qualsiasi docente, dottorando o studente dedito ad attività di ricerca. Una conoscenza (non solo fisica) delle strutture alle quali riferirsi in caso di necessità è fondamentale, e può aiutarci a risparmiare tentativi che rischierebbero in molti casi, oltre a costarci tempo prezioso e fatica, di risolversi con un colossale buco nell'acqua. Questo post vuole cercare di offrire una piccola "mappa" di orientamento all'interno di un sistema dalle grandi potenzialità, a volte però poco conosciute proprio da chi dovrebbe maggiormente usufruirne.

Tutte le biblioteche sul territorio nazionale sono organizzate in una rete denominata SBN (Servizio bibliotecario nazionale), promosso dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, con la cooperazione delle Regioni e delle Università, e coordinata dall'Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche.

Il DiAP (Dipartimento di architettura e progetto) della facoltà di Architettura dell'Università "La Sapienza" può contare su differenti sedi, dislocate in vari punti della città di Roma. La lista delle strutture è accessibile al seguente link, dove è possibile trovare informazioni utili tra cui recapiti del personale operativo nelle singole sedi.

Biblioteche DiAP

Il sistema OPAC
Un primo livello di indagine (che chiunque all'interno della nostra facoltà ha sicuramente già sperimentato) è la ricerca tramite il sistema OPAC (On-line public access catalogue), il catalogo informatizzato delle biblioteche.
Il sistema stesso al suo interno offre differenti possibilità di consultazione: si può accedere al sistema nazionale, riuscendo ad avere risultati sulla presenza di un singolo volume in ognuna delle biblioteche italiane, oppure effettuare la ricerca su poli specifici (ad esempio il "nostro" opac.uniroma1.it, dove è catalogato tutto ciò che è custodito nelle biblioteche della Sapienza e nelle biblioteche comunali della regiona Lazio).
La ricerca può essere inoltre filtrata tramite utilizzando differenti criteri (autore, anno, tipo, etc.)
Tramite il sistema è possibile anche accedere al proprio account e allo stato dei prestiti in corso, nonché elaborare proprie bibliografie personalizzate.

Schermata sistema OPAC nazionale

Schermata sistema OPAC uniroma1

Dal sistema OPAC nazionale si ottengono anche informazioni utili sulle strutture nelle quali viene identificata la pubblicazione da noi cercata e dei primi recapiti di personale con cui poterci interfacciare (tutto ciò possibile grazie all'anagrafe delle biblioteche italiane).

ILL e DD

A questo punto è lecito chiedersi: "se trovassi la pubblicazione più importante della mia carriera nel sistema nazionale ma questa fosse disponibile solo a Firenze, sarei davvero costretto ad andare fin lì?!"
Fermi tutti. Non disperiamoci. Una soluzione c'è ed è più semplice di quello che pensiamo. In nostro aiuto vengono due sigle che potrebbero "salvarci la vita": ILL e DD.

ILL è l'acronimo di Inter Library Loan ed è il prestito interbibliotecario, un servizio nazionale di fornitura documenti rivolto ai bibliotecari e agli utenti finali. Funziona in modo semplicissimo: ci si reca alla propria biblioteca e si chiede al personale incaricato se è possibile avviare le pratiche per il prestito. Una volta attesi i tempi tecnici necessari si può avere il proprio testo per i giorni previsti dal prestito. 

DD è invece l'acronimo Document Delivery e offre la possibilità di ricevere, in formato digitale, parti dell'opera di cui si necessita, ovviamente nella percentuale massima prevista dalla legge. Anche questo servizio si può richiedere rivolgendosi al personale della nostra biblioteca.

(La dottoressa Iolanda Vitale, direttrice della biblioteca del DiAP in via Flaminia 359, accetta anche richieste ILL e DD tramite email. Questa pratica è però a discrezione delle singole biblioteche)

Il nostro viaggio nelle possibilità offerte dalle nostre biblioteche non finiscono qui però. Dobbiamo ancora esplorare due servizi importantissimi a cui è possibile accedere: il catalogo nazionale periodici (ACNP) e il sistema di ricerca tramite DATABASE dei periodici di architettura.

ACNP e Periodici elettronici

L'ACNP ci consente di ricercare la presenza di periodici nelle varie biblioteche d'Italia. Impostata la ricerca si accede ad informazioni importantissime, come ad esempio quali annate siano presenti in una biblioteca piuttosto che in un'altra e la loro collocazione. Anche in questo caso si possono effettuare ricerche avanzate finalizzate a potenziare l'efficacia della navigazione.

Schermata di accesso ACNP
Dove cliccare per una lista delle strutture contenti la rivista ricercata

I DATABASE dei periodici di architettura, sono offerti gratuitamente a chiunque abbia un account @uniroma1.it e danno la possibilità di ricerca tramite parole chiave la presenza di un argomento (opera, architetto, articolo) all'interno dei  database dei periodici internazionali.
Una volta erano servizi a pagamento ma oggi sono di libera fruizione e consentono un accesso rapidissimo (previa ricerca intelligente!) a enormi database di informazione!

Quelli afferenti all'area Architettura e Ingegneria sono accessibili a questo link. Nulla vieta però di poter effettuare ricerche in campi differenti dal nostro (medicina, scienze giuridiche, etc.)

Una cosa fondamentale da sottolineare è che non bisogna essere necessariamente "loggati" alla rete di facoltà per accedervi! È possibile farlo comodamente da casa nostra. 
La chiave per fare ciò è il sistema EasyBixy, la cui pagina dedicata spiega facilmente gli step da fare per essere autorizzati al sistema.

La pagina del sistema EasyBixy
Schermata di benvenuto una volta loggati ad EasyBixy
Link al sistema dei Database dei periodici
Generalmente sono due i database di architettura più consultati: L'Avery Index e l'Urbadoc. Entrambi offrono enormi potenzialità, l'uso di uno o dell'altro dipende molto anche dal feel di usabilità che si instaura con il singolo database.
Fondamentali nel loro uso sono le "eccezioni" che ci consentono di creare dei "percorsi" di ricerca intelligenti e di interlacciare tra loro le informazioni in maniera efficace.

Scrivere ad esempio nella barra di ricerca dell'Avery Index Renzo Piano and Roma ci consente di filtrare tutti gli articoli su Renzo Piano (o su Roma) che lo mettono in relazione con la città di Roma (o viceversa che mettono la città di Roma in relazione con Renzo Piano). Il numero delle eccezioni è progressivo, ad esempio si può scrivere Renzo Piano and Roma and Auditorium e mettere in relazione i tre termini. Questo può sembrare scontato ma un uso consapevole delle eccezioni consente di abbattere di migliaia di numeri i risultati della ricerca.
Tra le più utilizzate eccezioni abbiamo AND e il suo opposto OR.

Home Avery Index

Home Urbadoc

Queste informazioni base ci consentono dei primi livelli di navigazione all'interno dei sistemi bibliotecari più utilizzati. Il loro uso frequente consentirà certamente la scoperta di feature più avanzate per una maggior sistematicità della ricerca e risultati sempre più affidabili nel minor tempo possibile.

N.B. anche nel caso delle ricerche nel sistema ACNP e nei database dei periodici è possibile richiedere il DD tramite la propria biblioteca

(Si ringrazia la disponibilità della dottoressa Iolanda Vitale nell'incontro del dottorato DiAP - Teorie e Progetto avvenuto in data 11-01-2017 alla biblioteca di via Flaminia 359, Roma)

Link utili
http://www.sbn.it/opacsbn/opac/iccu/free.jsp
http://opac.uniroma1.it/SebinaOpacRMS/Opac?sysb=
http://www.uniroma1.it/strutture/biblioteche
https://web.uniroma1.it/sbs/risorse-elettroniche/risorse-elettroniche
https://web.uniroma1.it/sbs/accedi-da-casa-con-easybixy
https://web.uniroma1.it/dip_diap/dipdiap/strutture/biblioteca
Gruppo FB della biblioteca di via Flaminia 359_link