lunedì 25 gennaio 2016

Un Moderno Prometeo

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Abbiamo mai notato come di fronte alla domanda su quale sia il nostro personaggio, artista o architetto preferito, siamo portati a rispondere d’istinto, a fare nomi, a creare una scala di valori per la quale prediligiamo una figura rispetto ad un’altra? 
Le risposte che diamo possono essere molteplici e diverse tra loro, ma se il nostro interlocutore alza l’asticella della difficoltà e ci chiede quale sia il nostro EROE preferito, il gioco cambia, non siamo più così certi della nostra risposta e anzi temporeggiamo, alla ricerca di quel nome che rispecchi le aspettative che inconsciamente riponiamo nella figura dell’eroe.

L’Eroe, dal greco ἥρως "signore, principe", nell’antichità era un essere semidivino, al quale si riconoscevano gesta e qualità prestigiose, capace di cambiare le sorti della storia con una sola azione. Ecco che dunque, fatte queste premesse, alla domanda su quale fosse il mio EROE nella prima parte del libro “Architettura e Modernità” (2010), la Crisi c’è stata e anche molto forte ad essere sincero. Sfogliando nuovamente il testo erano molti i nomi che ritenevo interessanti e degni di nota, ma poi alla domanda: “potrebbe essere lui il mio eroe?” trovavo sempre qualche motivo che mi rendeva titubante nella scelta.

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Ad un certo punto, in questa machiavellica serie di domande, un nome ha colpito la mia attenzione; ho quindi chiuso il libro, riflettuto e… Eureka. Avevo trovato il mio eroe: László Moholy-Nagy.
Ma chi è Moholy-Nagy? E perché è una figura tale da essere considerato EROE? Per capire meglio il perché di questa scelta è necessario inquadrarlo nel suo contesto storico di riferimento.

Nel 1925 viene ultimato il Bauhaus a Dessau, su progetto dell’architetto Walter Gropius; la nascita proprio in Germania di questa di arti e mestieri è figlia dalla disillusione post-bellica tedesca che spingeva inevitabilmente verso tutto ciò che era nuovo. Sullo slancio di una volontà di riforma profonda della società, che ben presto farà i conti con la realtà storica, il Bauhaus vedeva nella macchina e nella produzione industrializzata la possibilità di riscatto delle classi meno abbienti. Il mondo della modernità bussa alle porte della storia e un gruppo di intellettuali, artisti e architetti risponde in modo coraggioso, non si tira indietro ma anzi cerca di farsi portatore di nuovi valori. László Moholy-Nagy è uno di loro.

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Ungherese, classe 1885, Moholy-Nagy ha una formazione eterogenea. Pittore e artista, è sempre in prima linea nel campo della sperimentazione e intesse rapporti anche con mondi così distanti come quelli del Costruttivismo Russo (incontra, infatti, El Lissitzky bel 1921). Di fede marxista abbandona l’Ungheria dopo la sconfitta della Repubblica Sovietica Ungherese e nel 1923 diventa direttore, su invito di Gropius e al posto di Johannes Itten, di alcuni laboratori all’interno del Bauhaus. Il suo arrivo è epocale, segna una svolta. La scuola di allinea totalmente al mondo dell’industria in espansione, lo slogan è chiaro, deciso: “arte e industria: una nuova unità”. Insegna ai suoi allievi a dare forma con qualsiasi tipo di materiale alle loro sensazioni e propugna strenuamente l’importanza dell’oggetto in quanto tale. Per lui l’artista progetta la propria facoltà mentale non la realtà che lo circonda.

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È proprio questa la chiave più interessante del suo lavoro e che troverà esemplificazione in quello che sarà il suo campo di sperimentazione primario: la fotografia. Pensiamo a immagini drammatiche: dall’alto, dal basso, prive di orizzonte, fotogrammi dove “la luce è libera di cadere su un supporto sensibile attraverso oggetti con differente coefficienti di rifrazione o venga deviata dal suo percorso originale attraverso diversi dispositivi” [1], dove l’oggetto meccanico mette in crisi proprio la realtà che dovrebbe servire a rappresentare, dove i fotogrammi diventano una grammatica, la grammatica della scrittura della luce. È un linguaggio nuovo quello che propone, fatto da frammenti che montati assieme raccontano storie nuove, trasmettono il mondo interiore del proprio autore e aprono un occhio nuovo della realtà, non quello della fredda visione calvinista ma quello umano dell’artista, sempre in bilico tra intelletto e passione.


Moholy-Nagy è un eroe perché non fugge dalla modernità, non si chiude nelle certezze del mondo del passato ma vive la propria realtà, rischia la sconfitta, consapevole della propria epoca e della necessità di rinnovamento cui aspira. È come Tancredi del “Gattopardo” di Luchino Visconti, che non si chiude in sicurezze conservatrici ma cavalca a suo rischio verso la modernità. Se il Bauhaus è il simbolo della Modernità Moholy-Nagy ne è sicuramente uno dei comandanti. Se la Modernità è il fuoco a cui l’artista anela, Moholy-Nagy è sicuramente il Moderno Prometeo.

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“Moholy-Nagy è il più moderno degli artisti della prima metà del Novecento, addirittura il modello dell'artista moderno, cosciente della crisi della professione artistica, in un epoca caratterizzata dell'egemonia industriale e della conseguente trasformazione di tutto il sistema del lavoro, della produzione e del consumo.” [2]

Bibliografia e Note
Saggio A., Architettura e Modernità, Carocci, Roma, 2010
Zevi B., Storia dell'Architettura Moderna, Einaudi, Segrate (MI), ed. 2010
[1] cit. László Moholy-Nagy
[2] cit. Giulio Carlo Argan

Raccolta immagini
[Immagine 1] Adam Sebastièn N., "Prometeo Incatenato" (1762), French Royal Academy
[Immagine 2] Del Pollaiolo A., "Ercole e l'Idra" (1475), Uffizi, Firenze
[Immagine 3] Moholy L., "Portrait of László Moholy-Nagy" (1926)
[Immagine 4] Moholy-Nagy L., "Hand Photogram" (1928)
[Immagine 5] "Portrait"_Elaborazione digitale a cura dell'autore


Valerio Perna




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